Molti però aderivano ai nuovi teologanti, condotti o dal febbrile aspirare a perigliose novità e da smania di farsi nome, o da paura di sembrare attardati nel comune movimento, o da imitazione. Non pochi allettati dallo specioso nome di riforma, che sì spesso significa rivoluzione e che vieppiù lusingava quando la Chiesa congregata non aveva ancora tolti in esame i fondamenti delle controverse dottrine. Chi del diffondersi dei nuovi dogmi in Italia più volesse sapere, ricorra allo Schelornio, al Gerdesio, ad altri, con questo però di crederli a riserva, giacché per leggerissime ragioni pongono della loro taluni, che non cessarono d'essere fedeli cattolici. I novellieri, come Masuccio Bandello, il Poggio, il Sacchetti, il Lasca, ridondavano di burle sul clero. I poeti, dall'iroso Dante fino al bizzarro Ariosto, avevano bersagliato i papi. Uomini di gran senno e gran virtù palesavano la necessità di togliere ai Riformati il maggiore pretesto col levare dalla Chiesa gli abusi. E tutti costoro, e il Bembo, il Trissino, il Flaminio, altri ed altri, furono dai protestanti contati come eretici, benché sapessero abbastanza che per riformare non è mestieri distruggere, e che le riforme opportune e durevoli devono venire dall'amore, non dalla collera, dall'autorità che dirige, non dalla violenza che tumultua(7).
Noi limitandoci a riferire ciò che riguarda il paese di cui trattiamo, o a cui siamo recati da questo racconto, diremo come fra le masnade alemanne, che calpestarono l'insanguinato terreno di questa povera patria nelle guerre, in cui il fatale Carlo V spegneva l'indipendenza italiana, molti erano già, non pure aderenti, ma fervorosi in quelle novità; toglievano a gabbo le superstizioni del popolo che trucidavano, e tutt'insieme il culto, i preti, le dottrine.
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