Recando adunque non rimedio ma danno quelli che dovevano opporsi, non sarà meraviglia se la Riforma più sempre acquistava.
I Cattolici però s'ingegnavano assai per tutela dell'antica credenza. Ai vescovi di Como non molto restava a fare, giacché i Grigioni, sospettosi sempre di qualche trama, ne avevano angustiata l'autorità, vietando il ricorrere ai superiori ecclesiastici, escludendo ogni sacerdote estero, nel qual titolo comprendevano anche gli Ordinarii. Se non che fatto vescovo Feliciano Ninguarda nativo di Morbegno, mancò ogni ragione di tenergli la porta della valle, onde la visitò ad agio suo. Nei sinodi poi e nelle lettere circolari non cessavano essi vescovi di esortare i Valtellinesi a durare fermi nella fede, aprir bene gli occhi su chi viene d'oltremonte, massimamente soldati a quartiere od a guarnigione. Ne esplorino i fatti e se alcun che ne scoprano, diano indizio all'Ordinario se non vogliono cadere in un peccato riservato. Anche ogni maestro era obbligato a prestare giuramento di fede in mano del vescovo.
E poiché ogni potere minacciato diviene violento, neppur le vie del rigore furono intentate e la Chiesa sgomentata chiamò in ajuto il braccio secolare, agli orrori della superstizione e dell'impostura opponendo gli orrori dei roghi. Basti, per non esser lunghi, citare Francesco Gamba di Como, che essendosi condotto a Ginevra a celebrar la cena cogli Evangelici, mentre tornava in patria fu còlto e (ciò fu il 21 luglio 1554) strangolato, poi gettato al fuoco. Neppure in morte aveva voluto ricredersi, ed affinché favellando non recasse scandalo al popolo accorso al suo supplizio gli venne forata la lingua.
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