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      Si sanno le opere, ed aperte e di sottomano, ai tempi di Giangiacomo Medeghino. Carlo V poi, aggiunta la ducea milanese agli immensi domini suoi, più ne prese gola, ben avvisando quanto rileverebbe l'avere libera comunicazione per quella parte fra gli Stati suoi di Germania e quelli d'Italia. Ne aveva anzi passato ordini a don Ferrante Gonzaga governatore, che ruminò quell'idea anche sotto Filippo II, menando per ciò segreto intrigo col vescovo Vergerio, sebbene gli tornasse indarno il suo intendimento.
      Nei giorni poi del Borromeo, un tal Rinaldo Tettone, mercante milanese al quale era avvenuto sì male della mercanzia che diede fondo ad ogni suo avere, si era messo a capo di Farabutti, bravacci pari suoi, che rubando e furfantando vivevano. Da piccoli tentativi incoraggiato a maggiori, fermò d'entrare in Valtellina, e porla a preda. Infatuato del qual desiderio, acciarpò truffatori e bagaglioni e quanti fossero da tal servigio: e chi vorrà credere che di tutto ciò non scoppiasse veruno indizio ai magistrati di Lombardia? Chi conosca l'ambidestra politica spagnuola, più presto inclinerà a pensare che il governatore Terranova, senza dargli apertamente favore, l'aiutasse però sott'acqua, od almeno stesse a vedere a che il Tettone riuscisse: andava a male? Niuno potrebbe imputargliene colpa: accadeva a disegno? Getterebbe la maschera. Ed avendo, come si suol dire, tratto di buca il granchio colla mano altrui, coglierebbe il destro di ricuperare la valle al suo padrone.
      Fatto è che il Tettone, raccozzata una canaglia valente in parole e ch'egli chiamava esercito, parte ne inviò per la banda di Lecco.


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Il Sacro Macello di Valtellina
di Cesare Cantù
Sonzogno
1885 pagine 160

   





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