Fu poscia a Pavia, indi a Roma, poi nel collegio elvetico di Milano, ove a san Carlo ne parve sì bene, che talvolta abbattutosi in esso, postagli sul capo la mano: "Figliuol mio (gli disse), combatti buona guerra, compi tua carriera. Per te è riposta una corona di giustizia, che ti renderà in quel giorno il giudice giusto".
Monsignor Volpi di Como gli diede la parrocchia di Sessa: indi compreso di che gran parti egli fosse in sapere, in saviezza, in cristiana prudenza, lo chiamò arciprete di Sondrio. Peso enorme a quei dì. Il predecessore suo Niccolò Pusterla era stato, con sei zelanti cattolici, rapito in prigione, e colà, vollero dire, avvelenato dal governatore, perché in tempi di fazione si crede non si esamina. Delle contrade vicine molte assentivano ai Riformati, altre erano miste(53), sicché avevano due ministri: dei Sondriesi un terzo si era sviato dalla Chiesa romana. Aggiungi che dal 1520 al '63 v'era stato intruso arciprete Bartolomeo Salice, che contemporaneamente era arciprete di Berbenno, curato di Montagna, arciprete di Tresivio e in nessun luogo risedeva, lasciando che il gregge sviasse a pascoli infetti. Dei benefizii si valeva per dotare nipoti. Portò anche le armi, il che tutto giovava miserabilmente alla diffusione dell'eresia. Di quel tempo venne a predicar a Sondrio un frate in aspetto di somma dottrina e pietà. E il popolo che da gran tempo non udiva più prediche, accorse alle sue: ma ben presto egli si scoperse eretico. Se ne levò tumulto, ed egli rifuggì ai Mossini in casa Mingardini, donde seguitava a predicar ai nuovi convertiti.
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