Venne poi meno della vita a Monaco, mancando così un gran protettore alla Valtellina. Anche l'anno dopo, il Cardinale infante con 12.000 combattenti fu accolto a tripudio in Como, indi per la Valtellina passò, come dice Minozzi, invece di olivi comaschi a sfrondare fiamminghi allori. Questi ajuti, cui porgeva agevolezza la fede della Valtellina, furono principale stromento a difendere Costanza e Brisacco, e sollevare l'agonia dell'impero.
Tanto più incresceva questo possesso della rivale alla Francia. La quale si levò alfine risoluta di liberare l'Italia, titolo solito (diceva il Ripamonti), onde i Francesi valicano le Alpi; i Francesi (soggiunge egli) ai quali punto credere si dovrebbe, essendo gente inquieta, e che vuol gli altri inquietare.
Fatto sforzo d'ogni parte: Weimar è sul Reno, Crequi penetra in Italia, la Vallette assale il Piemonte, l'Arcivescovo Sourdis arma sul mare, Gassion sul Rossiglione, e per la via dei Grigioni è mandato il duca Enrico di Rohan, il più compito gentiluomo del suo secolo.
Come capo dei Riformati aveva egli resistito con forza e genio al Richelieu, il quale poté fargli perdere il favor della corte, ma non la reputazione di capitano eccellente. Colla quale e con 12.000 pedoni e 1.500 cavalli passò per Basilea e Sangallo fin a Coira e preceduto da un proclama (già si sapeva adoprare quest'arma in guerra) entrato per Chiavenna, senza guari difficoltà occupò la valle.
Tosto 9.000 Tedeschi col barone di Fernamondo, entrano in Bormio, e da veri barbari mandano a fil di spada oltre cento inermi.
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