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      Così vedemmo ai dì nostri salvarsi dall'ambizione d'eserciti tremendi la Spagna, il Tirolo, la Grecia... doveva così la Valtellina francheggiarsi. Ma i coltelli adoprati all'assassinio parvero cadere di pugno. E dopo la vittoria di Tirano, non sapendo intera soffrire né la libertà, né la servitù, seguitarono non diressero gli eventi. Quand'era tempo di fare, se riandarono in consigli: da re, i più avidi di acquistare che vogliosi di francheggiare, mendicarono gli ajuti che dovevano da sé soli sperare.
      Ricorsi all'intervenzione dello straniero, potevano ottenere buono stato dalla Francia; invece si commisero alla Spagna, che col non risolvere, nutricò lungo tempo la guerra. Poi pretendendo vigilarne il bene e la religione, la vendette per vantaggio proprio a coloro che più odiava, senza tampoco i privilegi di prima; anzi consolidando quel servaggio, cui l'avevano ridotta le lente usurpazioni dei Reti. Diciannov'anni di guerra fra tumulti ed eccidi, fra le ansietà della speranza e degli sgomenti, colle solite conseguenze delle rivoluzioni, sospensione delle utili arti e del faticato progresso, abbassamento dei caratteri, assuefazione allo stato provvisorio ed ai mali come ad una necessità, oblìo della franchezza vera e della legittima opposizione, schifiltà da quell'obbedienza che è la condizione più necessaria alla libertà, bisogno di distrarsi e stordirsi, confidenza nelle eventualità imprevedibili e fin nella conflagrazione universale come rimedio, mentre è un male che tutti gli altri peggiora e a nessuno ripara.


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Il Sacro Macello di Valtellina
di Cesare Cantù
Sonzogno
1885 pagine 160

   





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