Vero è che di tutto ciò prendeasi ben maggiore pensiero quando gli intelletti si occupavano principalmente di Dio, dell'anima, della destinazione dell'uomo: riconosceano la santità non solo, ma la bellezza della redenzione, del pentimento, dell'amore; in tal senso dirigevansi e le azioni e le astinenze, sorgevano le sètte, incalorivansi i partiti; e tutti gli studj, come tutte le meditazioni s'aggiravano sulle massime eterne, misteriose quanto la coscienza.
Quell'età è tramontata, ma anche gli odierni, indifferenti alla analisi delle anime, non possono negare che nell'uomo il bisogno di credere sia forte quanto quello di ragionare. Poi, si può egli trattare nulla di grande senza chiarire e assodare i principj? Che cos'è il diritto? in qual connessione stanno gli individui fra loro e colla società? dove termina il campo della ragione e comincia quello della fede? qual parte deve farsi all'autonomia individuale, quale all'autorità? come venimmo e per qual fine al mondo? come dobbiamo condurci od essere condotti, se quest'ordine è voluto da un essere superiore?
Tali quistioni si tengono per mano; e il problema religioso siede al fondo di tutti i problemi contemporanei, dove men pare; e si realizza nell'ordine de' fatti in maniera, che la macchia originale è la legittimazione de' governi, e i supplizj e gli eserciti sono autorati dai reprobi istinti; la volontà libera, o la fatalità e la predestinazione sono i poli fra cui oscilla eternamente la filosofia non meno che la teologia.
Quando il sofista eloquente fantasticò uno stato di natura, diverso e opposto al sociale, e disse «L'uomo è nato buono, e la società lo pervertisce», sovvertendo l'ordine teologico sovvertì l'ordine politico, e produsse la rivoluzione.
| |
Dio
|