Il nostro secolo, glorioso d'averli distrutti, gl'incolpa che non ricavavano dai terreni tutto quel che si poteva; al qual biasimo non so quanto applauda la plebe, che vivendo giorno per giorno, non si trova più nulla nel passato, nulla nell'avvenire.
Il povero, del quale in oggi tanto si ciancia e per cui così poco si fa, trovavasi onorato e consolato quando vedeva la povertà eletta volontariamente e considerata come meritoria. Le loro sollicitudini agricole insegnavano il rispetto alla proprietà. Il grande avea sgomento di questi cucullati, che senza speranze, senza timori, venivano al suo castello o alla sua reggia a rimproverarne le prepotenze, a chieder la riparazione d'un'ingiustizia, a intimare castighi da cui non li salverebbero nè i torrioni nè i bravi.
Carlomagno dicea loro: Optamus vos, sicut decet ecclesiæ milites, interius devotos et exterius doctos esse, e in fatti è da loro soli che ci vennero conservati i libri e le cognizioni di tutta l'antichità. Uomini di preghiera e di penitenza, pure non si credeano estrani alla politica, anzi parlavano alto ai re, teneano i conti e le casse delle città, ripristinavano le paci, tesseano le leghe de' popoli, dettavano nelle Università, raccoglievano gli artisti.
Ma della missione civile li lodano anche i profani e gl'increduli; nè questa era la loro speciale, bensì il purificar il mondo colla carità, domarlo colla rassegnazione, edificarlo con quella sublime vocazione, che lungi dall'invidiosa povertà d'un amore esclusivo, fa che l'uomo si dia tutto a tutti, nei doveri consultando unicamente l'interesse spirituale: e nell'amor di Dio portato all'eroismo, cerca un rimedio supremo all'amor delle creature; sforzandosi a domare i bassi istinti, resistere alla natura corrotta, ed accostarsi alla perfezione cristiana.
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Optamus Università Dio
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