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      Bastano le più vicine memorie per ricordarci come il popolo romano s'inebbrii di siffatte idee; e come all'entusiasmo dell'applauso si accoppii l'entusiasmo dell'ira. Mentre osannavano quell'intempestiva restaurazione, i Romani gettavansi a furia sulle torri dei baroni, sui palazzi degli avversi e de' cardinali, e anche sulle loro persone; abolivano il prefetto della città; negavano obbedienza al nuovo papa Eugenio III (1145), il quale dovette coll'armi domar quella gente che san Bernardo qualificava proterva e fastosa, disavvezza dalla pace, avvezza solo al tumulto; immite, intrattabile, non sottomessa se non quando le manchi forza di resistere. E questa prevalse, e cacciò il papa che andò esule in Francia, sicchè Bernardo scriveva: «Ecco l'erede di Pietro, per opera vostra espulso dalla sede e dalla città di san Pietro; ecco per le vostre mani spogliati de' beni e delle case loro i cardinali e i vescovi ministri del Signore. O popolo stolto e disennato! I padri vostri resero Roma donna del mondo; voi v'industriate di renderla favola delle genti. Or ch'è divenuta Roma? miratela; un corpo informe senza testa, una fronte incavata senz'occhi, un volto privo di luce. Apri, infelice popolo, apri una volta gli occhi, e guarda la desolazione che ti sovrasta. Come in brev'ora lo splendore di tua gloria s'è offuscato! fatta sei come vedova, tu ch'eri la signora delle nazioni, la regina dei regni. Eppur questi non sono che principj de' mali; più gravi calamità ti minacciano, se più ti ostini nella fellonia»64.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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