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      La legge, l'ubbidienza derivano da Dio: dacchè il principe le rompe, perde, quant'è da lui, il diritto di comandare, e la coscienza il dover di obbedire. La giustizia è il bene armato, la legge morale armata, sicchè bisogna rimanga in mani morali e legittime. Più si restringe la Chiesa, più fa duopo estender la forza che la surroga.
      I fautori della Chiesa nominavansi Guelfi; Ghibellini i sostenitori dell'impero, ma entrambi i partiti riconoscevano un principio superiore a tutte le rivoluzioni, la distinzione del potere temporale dall'ecclesiastico, dello spirito dalla legge, della fede dal diritto, della coscienza dell'individuo dal vigore della società, dell'unità umana dall'unità civile. Il prevalere d'una di queste tesi porta necessariamente l'antitesi dell'altra: se la Chiesa si fa democratica col popolo, l'impero si fa democratico colla plebe: se i Guelfi stabiliscono l'eguaglianza, i Ghibellini vogliono tutelarla colla legge; se prevale l'idea della libertà individuale, bisogna frenarla colla potenza sociale.
      Questi partiti si spiegarono massimamente sotto i due Federichi di Svevia. Il primo credette potere nella gagliarda mano schiacciare le libertà comunali e la Chiesa: ma a Venezia dovette piegar il collo sotto al piede del papa, che esclamò, Super aspidem et basiliscum ambulabis68, e per sua mediazione pacificato colle città lombarde, riconobbe l'indipendenza di queste, e andò a morire in Terrasanta.
      La sua discendenza rinnovò il cozzo coi papi, anche per l'eredità della contessa Matilde, sicchè essi favorirono l'elezione di Ottone di Baviera.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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