Poi Dio mandò al superbo il flagello dei re, il sospetto; e credendosi tradito da amici e parenti, mandò al supplizio molti e lo stesso Pier dalle Vigne: e benchè fosse un de' più insigni talenti del medioevo, e durasse trentadue anni d'impero, nulla compì di grande, perchè, com'ebbe a dire il contemporaneo san Luigi di Francia, «fe guerra a Dio coi doni suoi»: e al suo sepolcro il popolo guardava tra meraviglia e spavento, riflettendo che sarebbe stato senza pari sulla terra «se avesse amato l'anima sua».
Sulla sua discendenza parve pesare l'anatema, trovandosi a guerra coi popoli e tra loro. Manfredi, bastardo di Federico, usurpato il regno di Sicilia, periva nella battaglia di Benevento; Corradino, ultimo di quel sangue, moriva sul patibolo di Napoli. Il nome di Federico II restò fra gli antesignani della riforma: nel secolo seguente un cronista svizzero ne invocava e prediceva la resurrezione per riformar la Chiesa; i primi apostoli del protestantismo si giovarono degli argomenti di lui e di Pier dalle Vigne. Un riscontro moderno possiamo trovargli in Enrico VIII, che al luogo di Pier dalle Vigne ebbe Tommaso Cromwel, e che, al par di Federigo, proclamava lo scisma da una parte, dall'altra bruciava gli eretici: ma l'opinione al tempo di Federico era volta tutt'altrimenti, e ne vennero infiniti mali al suo secolo e lo sterminio della sua famiglia. Il patetico fine di questa dee compatirsi da tutti, può deplorarsi dagli avvocati della monarchia assoluta e del diritto divino dei re, ma i liberali dovran riconoscere che essa fu osteggiata per la libertà del popolo, per l'indipendenza delle varie nazioni, la quale sarebbe dovuta soccombere a un impero che avesse assorbito anche la potestà spirituale.
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