Claudio, di nazione spagnuolo, in Francia diresse la scuola istituita poco prima da Carlomagno, e predicava, e commentava le divine scritture, onde Lodovico il Pio lo propose a vescovo di Torino verso l'820. Quivi cominciò dal solito titolo di correggere abusi e superstizioni; e dicendo non dover le immagini usurpare il culto che a Dio solo è dovuto, le toglieva; spezzava le croci; non più feste di santi; non più lampade nelle funzioni, non pellegrinaggi a Roma; dal che passò anche a sostenere errori intorno alla divinità del Verbo. Il popolo suo ed i vicini gliene vollero male; Pasquale I lo disapprovò; molti scrissero sin dalle Gallie e dall'Irlanda, per difendere l'antica consuetudine, distinguendo il culto reso ai santi e agli angeli da quello alla divinità; adunatosi un sinodo, Claudio ricusò intervenirvi, chiamandolo congregationem asinorum. Morì del 830, e quanto riprovata dai Cattolici, tanto la sua memoria fu poi esaltata dai Protestanti, che, per la smania di darsi antenati, pretesero vedervi il fondatore della Chiesa valdese. Dalle confutazioni fattene allora non appare ch'egli negasse la presenza reale, o la transustanziazione, nè alcuno de' sacramenti, nè la primazia de' pontefici, nè asserisse la privata interpretazione delle sacre scritture, che sono i fondamenti del protestantismo.
A mezzo il secolo ix, Pietro vescovo di Padova scoprì nella sua diocesi una setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e che solo cinquant'anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozzelino.
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