Appoggiavasi l'inquisizione al diritto civile: e nella Maestruzza112 è definito: «Secondo la legge, indovinatori e malefici dee essere a loro mozzo il capo, s'ei vi caggiono: e se eglino vanno a casa altrui; debbon essere arsi: e i loro beni debbono essere messi in comune. Ma secondo la Chiesa, gli è tolta la comunione, se egli è notorio; ma se egli è occulto, imponsegli penitenza di quaranta dì (cap. 42). Degli indovinatori e sortilegi gl'inquisitori non possono e non debbono intromettersi, se già manifestamente non temessero alcuna resia. Coloro che ricaggiono nella resia di prima, la quale avevano negata, si debbono mettere nelle mani della signoria secolare (cap. 91).
La colpa dunque era civile, la Chiesa non facea che mitigar la pena, poichè i pentiti assolveva, anche i recidivi procurava riguadagnare. L'inquisitore dovea dichiarare che l'accusato fosse veramente eretico, e quindi non più appartenente alla Chiesa: da quel punto diveniva reo di Stato: e lo Stato non eseguiva la sentenza dell'inquisizione, ma applicava la pena stabilita dalla legge.
Una costituzione di Celestino III e d'Innocenzo III, accolta nel Diritto Canonico113, distingue le procedure per accusa secondo il codice romano, quelle per denunzia, quelle per inquisizione; ma in tutte sono pubblicate le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento. Gli eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica, poteano conoscere i testimonj e l'accusatore, aver un consiglio, e pubblico dibattimento. Solo quando lo stabilirsi dei principati sminuiva la pubblicità, propria del medioevo, Bonifazio VIII dispensò gl'inquisitori da tante formalità qualunque volta ne derivasse pericolo ai testimonj114: Innocenzo VI, dichiarando che tal pericolo può presumersi sempre, generalizzò la riserva, e di qui venne la procedura secreta, per quanto vi ostassero i legisti e la nobiltà e gli uomini comuni, che si trovavano esposti all'arbitrio.
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