Federico II, sempre malvolto alla Santa Sede, accolse i costui seguaci perseguitati, che in Sicilia presero a capo Enrico di Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta una sinagoga, lupo il suo pastore, e sovrastare una riforma.
Tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù Cristo nè i suoi apostoli, via di perfezione seguitando, nulla aveano in proprietà, la proposizione fu rejetta dai Domenicani e da altri, e invece sostenuta dai Francescani, e nominatamente in un capitolo generale a Perugia. E poichè la costoro regola diceasi vera applicazione del vangelo, tornava sott'altra apparenza il medesimo concetto dell'assoluta spropriazione. Non era che un eccesso d'ascetismo, ma gli avversarj ne profittavano per impugnare i possessi della Chiesa; onde la proposizione fu condannata da papa Nicola IV. I Minori spedirono frà Bonagrazia di Bergamo per dimostrarla al papa, con lettera di frà Michelino da Cesena, maestro generale dell'Ordine, e si ostinarono nella loro opinione anche dopo che il papa proferì contro di essi. Michele, chiamato ad Avignone, ove allora il papa risedeva, esitò ad andarvi, poi subito ne fuggì, e apostatando ricovrossi all'imperatore. Questi era Lodovico il Bavaro, che era venuto in rotta con papa Giovanni XXII perchè negava riconoscerlo, e dichiarava l'Italia sottratta dall'imperiale giurisdizione, in modo che non potesse essere incorporata nè infeudata all'impero (1324). A vicenda l'imperatore proferiva scaduto il pontefice, chiamandolo con titoli ingiuriosissimi, e invitando giuristi e teologi a scatenarsi contro la Corte pontifizia.
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