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      Consegnatone il processo ai Signori, il frate raffermò le deposizioni alla stanga: «che Cristo, in quanto uomo viatore e mortale, via di perfezione mostrando, non era stato re temporale per ragione civile e mondana: e che esso Cristo e gli apostoli suoi, stando nello stato di perfezione, non poterono avere niuna cosa per ragione civile e mondana: e delle cose avute non ebbero se non il semplice uso del fatto, senza niuna ragione civile e mondana: e che papa Giovanni XXII era eretico perchè diceva il contrario». Rimesso in carcere, gli si diede penna e calamajo, e fra tre giorni potesse scrivere quel che voleva, e se si ritrattasse sarebbegli perdonato, se no si consegnerebbe alla Signoria secolare. Continuaronsi e variaronsi un pezzo le pratiche per farlo ricredere; confessava essere peccatore sì, ma cattolico, eretico no: eretico invece dichiarava il papa e l'arcivescovo, dal quale fu sconsacrato, poi consegnato al capitano, dov'ebbe molte ingiurie perchè non credeva al papa, ed egli dovea soffrire «le bestianze del popolo, il quale, sotto atto di grandissima compassione, tormentava l'anima del santo il dì e la notte». Fino agli ultimi istanti gli si continuarono esortazioni, ed egli persisteva a dire che Cristo non possedette nulla: che Giovanni XXII fu eretico perchè lo negava: eretici i suoi successori che nol riprovarono, e nulli i loro atti, non quanto a giurisdizione, ma quanto a sacramenti. Mentre era tratto al supplizio a tutti rincrescendone, «diceangli: Deh non voler morire.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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