Ed è comune agli Italiani d'allora questo sentimento d'indignazione contro i papi che, trasferendosi in Francia, aveano legato la Chiesa allo sgabello d'un re: note sono le invettive del Petrarca e i gemebondi viaggi di Caterina da Siena: pare v'alludesse anche il Boccaccio166: Cola di Rienzo non voleva abbattere il papato, anzi restaurarlo, e dal carcere di Boemia scriveva ad Ernesto di Parbubitz arcivescovo di Praga, com'egli non si tenesse che investito del potere legittimo dal pastore supremo; avere assunta la podestà tribunicia per odio alla senatoria oppressiva del popolo, e per cercare d'abbattere i baroni romani, e ridur la città santa, ch'è capo del mondo e fondamento della fede cristiana, in pacifica e sicura stanza dei papi. E Dante volea riforme, ma capiva sarebbero sterili senza l'unità, sia teocratica, sia imperiale; e l'uomo e il cittadino sottoponeva a un capo. Riprovava insomma i pontefici perchè erano o li supponeva traviati; mancando, se vogliasi, di rispetto, non di fede.
L'opinione di Dante poeta si accorda col suo concetto della monarchia, da noi altrove indicato, e ch'egli espose in un'opera apposita167. Impero e Chiesa pretendevano essere istituzioni divine e necessarie: le loro supreme funzioni sono accessibili a chiunque, purchè cristiano, nè il papato, nè l'impero essendo ereditarj; e tutt'e due debbono le loro cure all'intero mondo.
L'ordine religioso dunque e il politico costituivano due società, entrambe universali, distinte ma non separate; e Dante, che, nel vedere quegli incessanti cozzi dei piccoli Stati, era venuto nella persuasione non potessero aver pace se non ridotti all'unità, cerca accordare i due ordini per compiere l'opera sociale del cristianesimo: voleva ci fosse un padrone supremo delle società umane, ma per dirigerle al progresso, per tirare le conseguenze pratiche dai principj cristiani.
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