L'imperatore, nel concetto di Dante, doveva avere predominio sopra tutti i re, dunque anche sopra il re di Roma: mentre allora Bonifazio VIII, e più Giovanni XXII pretendeano a se medesimi l'autorità imperatoria, massime allorchè fosse disputata.
Oh come dunque immiseriscono la quistione que' controversisti d'oggi, che suppongono Dante contendesse al pontefice quel piccolo territorio ch'è patrimonio suo temporale! Esclama egli contro Costantino, non perchè lasciasse le Romagne al papa, ma perchè gli trasmettesse la dignità imperiale, secondo asserivano le favole giuridiche del suo tempo e le pretensioni guelfe; e più chiaramente nel libro iii, capo 10 della Monarchia riprende esso Costantino d'aver lasciata ai papi la podestà imperiale, questa non potendosi dividere: col che confuta i Guelfi, i quali ne arguivano che le dignità non potessero riceversi se non dal papa. Del resto egli esalta Carlomagno che, quando il dente longobardo attentò alla Chiesa, la raccolse sotto le sue ale vincendo: e ognun sa che Carlomagno fu l'assertore della sovranità temporale dei papi: esalta la contessa Matilde, la più larga donatrice di beni ai papi. Non volea dunque privarneli esso, bensì che gli adoprassero per Terrasanta e per l'Italia, anzichè sciuparli con Caorsini e Guaschi, e intanto lasciare deserto dai papi il giardino dell'impero. Pure per quel suo libro della Monarchia, dove sostiene che l'imperatore non dipende dal papa se non nelle cose spettanti al Foro interiore, Dante venne tacciato d'eretico, non solo da qualche inquisitore, ma dal famoso giurista Bartolo168; da cui lo difese sant'Antonino.
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