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      Il Rossetti gli aveva intitolati Misteri dell'amor platonico.
      La Chiesa cristiana era (a dir loro) divisa in due, allora appunto che più integra ne pareva l'unità: il genio protestante passò di generazione in generazione fino a coloro che altamente lo proclamarono nel secolo xvi, quando non fu novità, ma manifestazione delle persuasioni de' secoli precedenti. Anzi il Veltro di Dante era una profezia, dove fin le lettere stravolte esprimono il nome di Lutero. Doversi pertanto in questo senso intendere tutta la poesia nostra, elevata così a significazione sociale. E poichè non v'ha bizzarria che coll'ingegno non possa sostenersi, il Rossetti fe un curioso pellegrinaggio traverso alla letteratura patria con questo intendimento, in cinque volumi d'improba fatica pretendendo mostrare che i poeti nostri non si perdevano dietro la vanità di amori, siccome pare dalle loro rime, ma sotto quell'apparenza celavano la ricerca di verità superne, e la donna che fingeano vagheggiare non era Beatrice o Laura, ma la libera Chiesa: e tutto ravvicinò ai riti massonici, che ormai non sono più un mistero neppure ai profani.
      Senza scendere a particolarità, la minima nozione d'estetica fa repudiare un sistema, ove la poesia non sarebbe più ispirazione, ma allusione; ove si celebrerebbero persone e vezzi mancanti d'ogni verità. E ciò a qual fine? La moltitudine, cioè quella per cui si poeteggia, non poteva intenderne nulla; gli iniziati soli gustavano queste allegorie; ma a che pro, se già aveano ricevuta la rivelazione dell'arcano?


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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