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      Essendo poi venuti alcuni monaci a spacciarvi indulgenze, e avendo l'imperatore proibito il sacrilego traffico, si pigliò baldanza a declamare, in prima contro l'abuso, poi contro le indulgenze medesime. Il popolo ascoltava avidamente; gli studenti boemi se n'infervoravano; le quistioni religiose prendevano colore politico d'aborrimento ai Tedeschi e d'aspirazioni repubblicane; lo sparlare dei papi pareva indizio di ragione più elevata e di carattere più franco, e se ne faceva argomento da piazza non meno che da scuola, dove i professori fra la gioventù inesperta seminavano un vago desiderio di sottrarsi ad ogni autorità.
      Tante passioni, tanti errori, eppure fu ancora alla Chiesa una che la cristianità si ricoverò; e sotto al manto del pontificato. Di questo non erasi mai impugnata l'unità; benchè restasse incerto chi ne fosse l'investito; disputavasi del possesso e dell'esercizio dell'autorità; ma non dell'autorità stessa. E più erano ulcerate le piaghe, più speravasi ne' rimedj che v'apporrebbe un concilio, che inoltre rannoderebbe i principi cristiani per respingere la sempre crescente minaccia degli Ottomani.
      L'imperatore Sigismondo, fisso in animo di ricondur la Chiesa all'unità, ottenne si convocasse il concilio a Costanza, città imperiale sulla riva occidentale del bel lago che divide la Svevia dalla Svizzera. Assai principi, signori e conti v'intervennero; si numerarono fino cencinquantamila forestieri, fra cui diciottomila ecclesiastici e ducento dottori dell'Università di Parigi: ma insieme trecenquarantasei commedianti e giullari, settecento cortigiane, trentamila cavalli; e fra lusso e tornei e sfide i gaudenti menavano baldorie, mentre i pii oravano, i dotti preparavansi a lizze dialettiche.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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