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      Uscendo da tale scuola, Pico professavasi educato, a non giurar nella parola di nessuno, ma diffondersi su tutti i maestri di filosofia, vagliarne tutte le carte, conoscerne tutte le famiglie; anzi, l'indipendenza spingea fino a credere che l'oro puro, sebbene sotto forma tedesca, valesse meglio che il falso coll'eleganza romana239.
      A ventiquattro anni (1486) mandava per Europa una sfida, pronto a sostenere in Roma novecento tesi, dialettiche, morali, fisiche, ecc.; quattrocento delle quali avea dedotte da filosofi egizj, caldaici, arabi, alessandrini, latini, le altre erano opinioni sue. Alla sfida nessuno comparve, benchè Pico si assumesse di rifondere le spese del viaggio: ma il suo ardimento irritò l'amor proprio dei dotti; e in quella farragine ripescarono tredici proposizioni, che deferirono al papa come ereticali. Tra esse erano: Gesù Cristo non esser disceso personalmente agl'inferni, ma sol quanto all'effetto: non poteva essere dovuta una pena infinita al peccato d'un essere finito; non esser certo se Dio potesse ipostaticamente unirsi anche a creatura non ragionevole; la scienza che più ci rende certi della dottrina di Cristo è la magia e la cabala; come non dipende dalla volontà l'aver un sentimento, così neppure il credere; i miracoli di Gesù Cristo non sono prova evidente della sua divinità per l'operazione, ma per la maniera con cui gli ha operati; l'anima non conosce veruna cosa distintamente come se stessa.
      Il pontefice, dopo maturo esame, le disapprovò (1487), e Pico le difese in un'apologia, poi nell'Heptaptus de septiformi sex dierum geneseos enarratione, e nel De Ente et Uno.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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