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      Parole altrettanto libere aveva proferite l'anno innanzi in Santa Maria Novella a Firenze. «Molti si credono fare grandi opere a Dio; tra noi ce ne facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà sull'altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle avere fatto un grande fatto: or ecco opera. Simigliantemente de' pellegrinaggi. Oh come pare grande opera questa, e di gran fatica cotal viaggio! E vanterassi, e dirà: tre volte sono ito a Roma due volte ito a santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatto. E se vedesse in Roma le femmine a girar cinque volte e sei all'altare, e' par loro avere fatto un grande deposito, e rimproveranlo a Dio, come quel Fariseo che dicea, Io digiuno due dì della settimana, or ecco grande fatto! e mangi, il dì che tu digiuni, una volta, e quella mangi bene e bello. Questo andare ne' viaggi io l'ho per niente, e poche persone ne consiglierei, e radissime volte; chè l'uomo cade molte volte in peccato, ed hacci molti pericoli; trovano molti scandoli nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte si tenzonano e adirano, e con l'oste e co' compagni; e talora fanno micidio ed inganni e fornicazioni; e caggiono in peccato mortale»271.
      Altri, massime dopo il Savonarola272, stuzzicava l'attenzione col mescere ai discorsi allusioni di politica; chi predicando pei Guelfi, chi pei Ghibellini, chi pei Medici o per lo Sforza; talora erompendo in aperti attacchi contro principi non solo, ma contro prelati e papi.
      Non rimestiamo più a lungo questo fango senza ricordare come la discordanza della teorica dalla pratica sia cosa umana, generale, e che non si tratta di riformare il precetto, bensì di cercarne l'adempimento.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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