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      Al sublime divisamento vedemmo quali ostacoli s'attraversassero, sicchè rimasero male determinati i confini delle due autorità. I papi, per tutelarsi in un'età guerresca e quando ogni potenza derivava dal possesso de' terreni, dovettero procacciarsi un dominio temporale, ma tristo il guadagno che n'ebbero, avvegnachè li mise più d'una fiata in punto di scambiare per supremazia principesca quel ch'era tutela e arbitramento, affidato dalle coscienze, e fondato in un regno che non è di quaggiù. Di rimpatto gl'imperatori pretendevano dominare sopra i re, fare da tutori ai papi più che non fosse compatibile coll'indipendenza de' primi e colla dignità del padre comune dei fedeli. Di qui la diuturna contesa fra il pastorale e la spada, solo temporariamente sospesa mediante transazioni che all'uno e all'altra impedivano di trascendere, ma toglievano di spiegare intera la loro efficacia. Dopo le deplorate scissure di Basilea e di Costanza, ove ambedue i partiti ebbero bisogno del braccio dei re, questi, che aspiravano a concentrare in sè la pubblica potestà, colsero quel destro, e reluttando alle antiche prerogative di Roma dissero: «Noi conosciamo e sappiamo far il bene, meglio della Chiesa; noi non dobbiamo dipendere da nessuno; nessuno vi dev'essere nei nostri Stati, che da noi non dipenda».
      Nella comune propensione di quel secolo a consolidare i principati sulle rovine delle repubbliche e dei Comuni, anche i papi procacciarono più solertemente negl'interessi temporali, o condotti dalla carne e dal sangue s'affissero a dare opulenza e stato alle proprie famiglie, da un lato accarezzando i potentati per averli conniventi alle loro aspirazioni, dall'altro spremendo i deboli.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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