E professando la virtù essere necessario fondamento d'ogni libertà, e arte della tirannia pervertire i costumi, doleasi che per questa via le antiche repubbliche italiane «sobrie e pudiche», s'andassero precipitando nella tirannide; e proclamava che buon governo e moralità vanno inseparabili.
Perciò, quando Lorenzo de' Medici lo chiamò al letto della sua agonia, dicono che il frate gli ponesse come patto dell'assoluzione il restituire a Firenze la proprietà migliore, la libertà.
Come altri pretesi redentori d'Italia, mirò con compiacenza l'invasione di Carlo VIII, salutando i Francesi quai liberatori, e godette che per opera loro fossero cacciati i tiranni di Firenze: ma quando essi abusavano della vittoria, affacciossi a Carlo, e gli indirizzò quel che più sgarba ai potenti, la verità; e perchè quel re s'inchinava a lui davanti, e' gli mostrò un crocifisso dicendo: «Non venerare me, ma questo, che ha fatto il cielo e la terra, ch'è re dei re, e manderà a rovina te con tutto il tuo esercito se non desisti dalla crudeltà». Come Carlo partì, fece stabilire a Firenze il regno di Cristo, cioè il governo a popolo, e parve l'idolo della città, alla vigilia di divenirne l'esecrazione.
Noi non abbiamo a qui discorrere de' suoi fatti politici e governativi, benchè fossero tanta cagione delle sue ultime vicende. Solo diciamo come le sue prediche fossero benedette di frutto stupendo; e per un momento parve che la Firenze del Pulci, delle giostre, de' carri carnascialeschi, fosse mutata in una città di santi.
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