Intanto coi libri de' letterati e colle corrispondenze dei mercanti di Firenze divulgavasi il nome del Savonarola; «perfino d'Alemagna (diceva esso) ci vengono lettere dei seguaci che va acquistando la nuova dottrina». Riconosceva dunque egli stesso una nuova dottrina, la quale porse titolo d'accusarlo al pontefice, ch'era Alessandro VI. Questi, pauroso d'uno scisma, più volte l'ammonì, poi gli attaccò processo d'eresia, e gli interdisse di predicare. Il Savonarola non pensava staccarsi dalla Chiesa, e scrisse al papa: «La Santità Vostra si degni indicarmi quale tra le cose che dissi e scrissi io deva ritrattare, e subitissimo il farò». Non impugnava dunque l'autorità delle somme chiavi, ma poichè allora le teneva un pontefice, che coi costumi proprj e de' suoi deturpava una cattedra, onorata da tanti sapienti e tanti virtuosi, il Savonarola sostenne fosse stato eletto iniquamente, e braveggiò la scomunica, dicendo, che se ingiusta non obbliga296, che il papa potè essersi ingannato.
Scrisse ai principi, testificando «in verbo Domini, che questo Alessandro non è papa, nè può esser ritenuto tale; imperciocchè, lasciando da parte il suo scelleratissimo peccato della simonia, con cui ha comperato la sedia papale, ed ogni dì a chi più ne ha vende i benefizj ecclesiastici, e lasciando gli altri suoi manifesti vizj, io affermo ch'egli non è cristiano, e non crede esservi alcun Dio», ed esortava i principi a raccoglier il concilio in luogo atto e libero, dov'egli tutto ciò proverebbe.
Alessandro VI volle ancora scorgervi piuttosto trascendenza di zelo che vera malizia: e per lasciargli aperta la via al pentimento, non lo dichiarò eretico, bensì sospetto d'eresia, e cercò che la Signoria lo inducesse a chiedere l'assoluzione, la quale esso non gli negherebbe, come in appresso gli renderebbe anche il predicare297.
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