Ma frà Girolamo, fin nell'ultimo suo discorso esclamava: «Bisogna rivolgersi a Cristo che è la causa prima, e dire: Tu sei il mio confessore, vescovo e papa: provvedi tu alla Chiesa che rovina. - O frate, tu debiliti la podestà ecclesiastica. - Questo non è vero: io mi sono sempre sottoposto e mi sottopongo anche ora alla correzione della romana Chiesa: non la debilito punto, anzi l'aumento. Ma io non voglio stare sotto la potestà infernale; ed ogni potestà che va contro al bene non è da Dio, ma dal diavolo».
E spesso ripeteva che un giorno darebbe volta alla chiavetta, e griderebbe, Lazare, veni foras; accennando al concilio, a cui s'appellava, e che non da lui solo, ma da molti era considerato come unico rimedio ai disordini della Chiesa. E questo chiedere la riforma per mezzo del concilio era tanto più comune dacchè in quel di Costanza erasi stabilito di radunar la Chiesa ogni dieci anni. Nel processo del Savonarola v'è l'esamina di un Giovanni Combi, che dice: «Sono giorni circa quaranta, che, trovandomi a casa ozioso, mi venne in animo di mandar allo imperatore il libro del Trionfo della fede fatto da frà Girolamo, avendo inteso ch'era bello libro, e mandavalo allo imperatore come a uomo dotto e che si diletta di cose simili. E così feci una lettera a S. M. nella quale narravo come il detto frà Girolamo era gran profeta, e prediceva cose future, massime la conversione de' Turchi, la ruina d'Italia e la renovazione della Chiesa. E che non era dubbio la Chiesa stava male, come S. M. può ben sapere, e che a S. M. prefata s'apparterrebbe remediare, come si faceva pei tempi passati, per mezzo de' concilj.
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