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      » Stirato e squassato alla fune, egli debole e affranto di corpo, confessa quel che vogliono, essere stato eretico, aver negato Cristo, finto profezie e rivelazioni; poi subito nega, e «Non ho mai detto di credermi ispirato; bensì di appoggiarmi solo alle scritture sante. Non cupidità delle glorie del mondo mi mosse, e desideravo che per opera mia si congregasse il concilio, nel quale speravo fossero deposti molti prelati e il papa, e i costumi si riformassero, a modello de' tempi apostolici. Circa alla scomunica, benchè a molti paresse che la fosse nulla, niente di meno io credevo ch'ella fosse vera, e la osservai un pezzo: ma poi parendomi che l'opera mia andasse in rovina, presi partito di non la osservar più, anzi manifestamente contraddirla e con ragioni e con fatti, per onore e per riputazione».
      Rimesso alla tortura, confessava di ricapo quel che volevano, e meritar mille morti301. Ma interrogato se avesse voluto scinder la Chiesa di Cristo: «Giammai! (rispondeva risolutamente) se pur non si voglia intender d'alcune cerimonie, colle quali restrinsi la vita de' miei frati. Vero è che non ebbi mai paura delle scomuniche».
      Ma la sua morte era un sacrifizio domandato da quella tiranna che, allora come adesso, s'intitolava opinion pubblica, e che dianzi ne chiedea l'apoteosi: sempre vulgo. Quando se ne discuteva nella Pratica, fra i minacciosi tremanti ardì alzarsi un Agnolo Pandolfini, e dire che pareagli esorbitanza il porre a morte un uomo, di sì eccellenti qualità che appena se ne vedeva uno in un secolo; e che potrebbe non solamente rimettere la fede nel mondo quando fosse mancata, ma ancora le scienze.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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