Eccitava Ambrogio Leone professore a Napoli a pubblicare la sua grand'opera contro Averroè350.
Alle bellezze del nostro cielo, all'ubertà del suolo, alla squisitezza delle arti belle non sentesi preso; dell'entusiasmo, dei dotti non solo, ma dell'intera città quando si scoperse il Laocoonte, neppure un motto egli fa in lettere, dove avverte attento la quantità fallata d'una sillaba, o l'interpretazione mal côlta d'un versetto. Pure onorava i nostri ingegni, sino a fare sinonimo italiano e dotto: mihi Italus est quisquis probe doctus est, etiam si apud Ibernas351. Di qua delle Alpi riconosceva già infranto il giogo dei Tomisti, degli Scotisti, degli Aristotelici; che se nelle moltitudini e nell'insegnamento ufficiale abbondavano pregiudizj, errori, superstizioni, era concesso combatterli sul serio o voltarli in beffa.
E a quest'ultimo partito s'appigliò Erasmo, con quel genio burlevole che è tanto micidiale alla verità, quanto opportuno per demolire. E come i beffardi, poco bada alla verità.
Egli accerta che a Roma pretesero dimostrargli, non corra divario tra l'anima delle bestie e degli uomini; avere udito colle proprie orecchie bestemmiare Cristo impunemente, e detti orrendi pronunziarsi fino da ministri della reggia pontificia, e proprio nella messa e ad alta voce352: accuse generiche, e che il buon senso repudia.
Ma mentre credea trovare qui la tranquilla sede delle arti e della dottrina, s'imbattè nella guerra recata dalla turpe lega di Cambrai; Bologna assediata da Giulio II che poi vi fa ingresso trionfale; pel quale anche in Roma festeggiasi il marziale pontefice.
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