Così berteggia le insulse quistioni de' teologi, le sottili loro distinzioni, le dispute di parole, l'intolleranza d'ogni dissenso, quasichè nè il battesimo, nè l'evangelo, nè Pietro e Paolo, o Girolamo e Agostino, nè l'aristotelicissimo Tommaso renda cristiano, bensì l'assenso di costoro, i quali altrimenti sentenziano una proposizione di scandalosa, o poco riverenziale, o eretica. E per tali sofisterie si disistimano; han professata l'apostolica carità, e si odiano pel differente colore della tonaca, o il differente modo di cingerla. E qui sul vario vestire e sull'interminabile nomenclatura degli Ordini, sulle salmodie, sui digiuni, sul sudiciume, sulla moltiplicità delle regole, e il predicare a sottigliezze o a sillogismi, e con mescolanze strane, egli s'abbandona a celie tanto facili quanto insulse. Meglio attacca quelli che, sulla fiducia delle indulgenze, addormentano la coscienza, e quasi con l'oriuolo misurano la durata del purgatorio, calcolandone a minuto i secoli, gli anni, i giorni. Non v'è mercante, o soldato, o giudice che, rubati migliaja di scudi, coll'offrirne uno non creda tergere «ogni labe dell'alma ed ogni ruga».
Rincalza questo bersagliare ne' Colloquj. Dall'Eco fa dichiarare i monaci sciocchi (monachos-????), che cercano il sacerdozio per l'ozio; beffa i Domenicani di intitolarsi cherubici e i Francescani serafici, e contro questi si scaglia irreposatamente. Nelle Esequie Francescane favoleggia la loro storia, con poca riverenza al fondatore dell'Ordine e alle sue stimmate, e alla liberazione di tante anime dal purgatorio nel suo giorno, e veemente inveisce contro l'avarizia e ricchezza di que' suoi, i più mendichi fra' mendicanti.
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