Solo a queste condizioni si ottiene l'assoluzione e per ciò l'indulgenza, cioè la soddisfazione della pena temporale che il peccatore deve alla giustizia divina anche dopo rimessa la colpa. La qual pena temporale sconta l'uomo con opere penitenziali, a cui la Chiesa applica i meriti infiniti dell'Uomo Dio.
Pure gl'ignoranti facilmente sdrucciolavano in opinione erronea, e se la fomentavano coloro che ne traevano guadagno, ne facea beffe il bel mondo. «Come credere al purgatorio predicato da bocche barbose, che non sanno tampoco declinare Musa Musæ?» diceva Reuclin. E gli arguti: «Che? Sono dunque in mano dei preti le porte del purgatorio e del paradiso?» Sul teatro rappresentavansi spesso de' monaci, che vendeano l'assoluzione al ladro, il quale anche negli estremi momenti esitava fra la sua coscienza e il buon senso; altri che alle comari computavano quanti giorni un'anima resterebbe nel purgatorio, e quanto ci vorrebbe a riscattarla.
Fatto è che lo spaccio delle bolle d'indulgenze divenne pingue entrata della romana curia; v'ebbe persone che n'apersero bottega falsificandole: il che tutto e screditava le indulgenze, e ne adulterava il senso. Il vulgo facilmente recavasi a credere che quel denaro fosse il prezzo della cosa santa; e i questori che mandavansi a riscuoterlo, partecipando d'un tanto per cento al vantaggio, ne magnificavano profanamente la virtù. Ammirato il Giovane racconta che, nel 1431, a Firenze venne un cavaliere gerosolimitano con un Minorita; e quegli annunziava aver dal papa autorità ampia per assolvere dalla dannazione: questi stava a banco nelle chiese a scrivere e sigillare le lettere delle indulgenze e assoluzioni di colpa e di pena, dispensando in arduissimi casi chi portava non solo denari, ma vesti e panni.
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