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      Troppo ci darà a dire Pietro Paolo Vergerio vescovo di Capodistria, mandato nunzio in Germania. Nel 1536 vi andava il cardinale Morone milanese, e il papa gli raccomandava di pagare tutto e non lasciare debiti alle osterie, non isfoggiare lusso, visitare le chiese senza fasto nè ipocrisia, presentare nella sua persona la riforma romana: prevedeva che Lutero e Melantone non vorrebbero mai fare una ritrattazione: pure manderebbe una formola che non gli offendesse, stesa da persone savie e rispettabili.
      Ma Lutero di buon'ora rese impossibile ogni accordo, proclamando ricisamente la condanna d'ogni tradizione ecclesiastica, d'ogni autorità della Chiesa; e sulle attinenze dell'uomo con Dio piantando un dogma, ch'egli stesso diceva sconosciuto alla Chiesa dagli apostoli in poi. Non chiedevasi dunque, come nelle licenziosità precedenti, che la Chiesa si riformasse nel capo e nelle membra, ma che s'annichilasse da sè; all'adorazione e al sacrifizio surrogasse la predica; sfasciasse l'organamento che teneva riuniti tutti i popoli435. Anche allora il papa dovea rispondere la parola più grande che siasi udita nel secolo di universale vacillamento, qual è il nostro: Non possumus; ma quella negazione potea formularsi colle parole che il De Maistre scriveva ad una Ginevrina: «Noi non possiamo fare un passo verso di voi; ma se volete venire a noi, noi spianeremo la via a nostre spese».
      E già da particolari negazioni si era asceso a canoni generali: e principalmente al dogma della giustificazione.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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