Gaspare sedeva in consiglio quando gli giunse la notizia del cardinalato, e tutti ad applaudire; solo Alvise Mocenigo, costante avversario di lui e degli ecclesiastici, brontolò: «Codesti preti ci hanno rubato il miglior gentiluomo che la città avesse»444. Solo alle calde preghiere e all'idea del dovere egli rassegnossi ad accettare quel gravoso onore, e «non accortigianato nelle cose di Roma», insisteva sulle riforme: e scrisse, fra le altre, due lettere a Paolo III, intorno alle composizioni e alla potestà pontificia. «Il dispensiero (diceva), non può vendere ciò che non è suo ma di Dio, foss'anche il lucro destinato a far guerra al Turco o a riscattare schiavi, o qual altro siasi scopo; tutti convenendo nella sentenza di san Paolo che non può farsi il male per conseguire il bene, nè acconciare la verità di Dio agli esempj e alle costumanze nostre. Coloro che ampliarono in ciò l'autorità del pontefice sino ad affermare non abbia altra regola che la particolare sua volontà, porsero occasione agli avversarj di negarla del tutto. Qual cosa potrebbe immaginarsi tanto repugnante alla legge di Cristo che è legge di libertà, quanto il sottomettere i Cristiani a un capo, al quale sia attribuito l'ordinare leggi, il derogarle, il dispensarne a capriccio, anzichè a regola di dovere? Ogni potestà è potenza di ragione, ed ha per iscopo di condurre con retti mezzi alla felicità. Così anche l'autorità pontificia, conferita da Dio al beatissimo Pietro ed a' suoi successori sopra uomini liberi, vuol essere usata secondo la regola della ragione, dei precetti divini e della carità. Santo Padre, voi che soprastate agli altri in dottrina, senno naturale e sperienza delle cose, esaminate se dalla contraria dottrina non abbiano pigliato baldanza i Luterani a comporre i loro libri della cattività di Babilonia.
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