Che se all'avversario non possono negare il merito d'erudito, gli rinfacciano che il troppo sapere è un ostacolo al creare; che ben si assimila soltanto ciò che si sa a mezzo; che le dottrine non si combinano se non coll'indovinare: gli diranno che, immerso nel passato, ignora l'ultimo stato della scienza, la neue philosophie, la quale ha diritto di sbeffeggiare tutte le precedenti, finchè domani non venga una neuste philosophie a sbeffeggiare lei a vicenda.
E il vulgo, che prima sbigottiva davanti a quelle demolitrici asserzioni, s'abitua ad accettarle, rinnega la propria ragione per siffatte intrepide autorità. Così viensi a ridere del miracolo, non si cerca se quella che ci danno è la storia dei fatti, o la storia della mente dell'autore; se questi, invece dell'umanità, non ha davanti Carlo o Giuseppe, e principalmente se stesso. In tempi dove nelle scuole più non s'insegna su di che si fondi la certezza, e quanta autorità abbiano i testimonj, e come si fili un raziocinio o si distrighi un sofisma e un paradosso, e a tener conto del senso comune, e valutare quella sincerità evangelica, che impone di dire sì al sì, e no al no, troppo è facile ottengano corso le più assurde temerità dell'orgoglio umano.
Tutto opposto è il procedimento evangelico; e perciò gli apologisti dovettero sempre usare la stessa arte, da Eusebio fino al Ghiringhello e al Perrone; fedeli alla sana critica, cercando le testimonianze storiche, chiarendo i fatti, accettando i soprannaturali che sorpassano l'intelligenza umana quoad modum, non quoad existentiam suam et per divinam virtutem; quanto cioè al modo con cui avvennero, non quanto all'avvenimento stesso: citando in prima i testimonj de' fatti, dappoi quelli che gli udirono dai testimonj, indi la storia; e l'esegesi adoprando severamente a mostrare con ingegnosi ravvicinamenti l'assoluta conformità dei vangeli colla storia, colle arti, coi monumenti.
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Carlo Giuseppe Eusebio Ghiringhello Perrone
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