Come cercò mitigare le escandescenze di Lutero contro il pontefice, così disapprovava questo d'aver proceduto con rigore. Appena salì papa Adriano VI, ch'era stato suo condiscepolo nella famosa scuola di Deventer, Erasmo gli scrisse persuadendolo alla mansuetudine, ma presto s'accertò che non era più a sperare una riconciliazione. E diceva: «Ciò che mi colpisce di più in Lutero è che, qualunque cosa tolga a sostenere, e' la spinge all'estremità. Avvertitone, non che mitigarsi, cacciasi più avanti, e pare non voglia che passare ad eccessi maggiori. È un Achille, la cui collera è indomita. Aggiungetevi la gran riuscita, il favore dichiarato, i vivi applausi di tutta la scena, e c'è di che guastare anche uno spirito modesto».
Incalzato a confutarlo, Erasmo rispondeva: Nunc Luterus scribit in se ipsum, videns rem alio verti quam putarat, et exoriri populum non evangelicum sed diabolicum, cum interitu omnium bonorum studiorum.
E nelle lettere: «Qual cosa più detestabile che l'esporre le ignoranti popolazioni a udir trattare pubblicamente il papa d'anticristo, vescovi e preti da ipocriti, la confessione da pratica abominevole; le espressioni di merito, di buone opere, di buone risoluzioni da pure eresie, e professare che la nostra volontà non è libera, che tutto avviene fatalmente, e che poco monta di qual sorta siano o possano essere le azioni degli uomini500? Dopo gli onori dell'attacco voleva dunque anche gli onori della resistenza. Ma conservarsi neutrale fra partiti debaccanti era egli possibile a personaggio sì in vista?
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