Persuaso però che innanzi tutto bisognasse opporsi ai Turchi, e sopire l'incendio germanico, rassegnavasi a transazioni coi novatori.
Si dirà, tale essere lo stile delle autorità minacciate, riservandosi poi di eludere le promesse quando ripiglino fiato. Certo è che, sgomentato dall'assalto mosso all'autorità spirituale, vacillò sempre anche nel governo del temporale; ed anzichè accorgersi che questo non era mai stato altrettanto esteso e solido, non ebbe sentimento che della propria impotenza; sperò logorar Francia per mezzo dell'Impero, e l'Impero per mezzo della Francia, onde ora all'uno ora all'altra gettandosi, non amato da alcuno nè temuto, immensi mali trasse sopra l'Italia e sopra se stesso.
Non è da questo luogo il narrare come allora si esacerbassero le inimicizie fra Carlo V e Francesco I, il quale nella battaglia di Pavia cadde prigioniero (1525, 24 febbrajo); comprata la libertà, ne violò i patti, e ruppe nuova guerra, dove andarono a miserabile strazio la Lombardia e il regno di Napoli. Il papa, impaurito dall'ingrandire degli imperiali, e scontento di Carlo V anche perchè aveva ordinato che il regio exequatur fosse necessario alle bolle pontifizie in Ispagna, s'unì in una lega, per lui detta santa, coi Francesi e cogli altri, che pretessevano la solita maschera della indipendenza italiana. Lega a lui funestissima: perocchè subito i vassalli più potenti, e massime i Colonna, si rivoltarono contro Roma (1526), sopra la quale ben presto si difilò l'esercito imperiale, guidato dal connestabile di Borbone, francese traditore, messosi al servizio dell'imperatore.
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