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      Certa cosa è che, se il Flaminio intese la giustificazione per la sola fede in Cristo e la certezza della salute nostra, egli o non intese la materia dell'eucaristia, o non ebbe ardimento di dirla come sta». E riferite le discrepanze, soggiunge: «Questo guadagno almeno facciam noi di quella lettera flaminiana, che, avendo esso dimostrato dissentire da noi in questi punti, e non detto di dissentire ove noi neghiamo esservi la transustanziazione, e quella oblazione doversi applicare per vivi e per morti, e dove anche neghiamo la cena doversi dividere, il che fanno i papisti quando ai laici non danno la spezie del vino, in questi tre punti almeno esso Flaminio ha dimostrato di tenere che noi abbiamo ragione; e credo io che, se egli fosse vivuto, sarebbe eziandio in tutti gli altri corso più avanti, ed entrato nelle opinioni nostre; e credo di più che, chi avesse potuto vedere il secreto del suo cuore, avrebbe veduto che già v'era entrato». Induzione assurda, eppure abituale.
      Ci tornerà occasione di parlarne nel processo del cardinale Moroni, e qui basti indicare come fosse reputato autore del libro che analizzammo sul Benefizio di Cristo, o (come dice il padre Laderchi, storico della Chiesa più abbondante di pietà che di critica) d'un'apologia d'esso Benefizio. Questo il Laderchi crede opera del Valdes, senza darne pruove, ma è abbastanza noto che e il libro e le apologie ascrivevansi a persone diverse, onde crescervi credito. Del resto il Flaminio conservossi devoto alla messa; credeva la presenza reale; a monsignor Carnesecchi scriveva da Trento, ricordandogli come «alli mesi passati parlassero alcune volte insieme del santissimo sacramento dell'altare e dell'uso della messa»: e si lagna di quelli che «stanno ostinatissimi nelle loro immaginazioni, acciecati dalla superbia che si nasconde facilmente sotto il falso zelo della religione, ove si mettono in pericolo di perdere l'onore, la roba e la vita, perchè non si possono immaginare di essere ingannati dalla carne e dal diavolo; e così ognora più s'indurano nelle falsità, e diventano acerbissimi censori del prossimo, condannando d'impietà l'universale senso e perpetuo uso della Chiesa, e chiunque non si fa servo delle loro opinioni.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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