Le tribulazioni che il Polo soffre, e fatiche e calunnie «niente mi molestano, chè troppo saldo è il suo fondamento, e troppo ben compatto e stagionato l'edifizio con mille ferme colonne di esperienza, in modo che tutte le tribulazioni son sicuri testimonj della sua fede invittissima: ed ogni vento contrario accende il lume della sua speranza: e quanta opposizione gli può dar il mondo nelle opere che fa, vedo sempre al fine che son della sua divina carità, arsa ed estinta di maniera, signor mio, che ardisco dire che me ne ha presa, per Dio grazia, qualche scintilla, sicchè non serbo la metà dell'amaritudine che sentirei in tutte le difficoltà e molestie che mi occorsero: e con certi suoi amorosi e dolci modi cristiani ha fatto che, in due anni, io non ho saputo dove mi tener la testa... ma in questo caos mi fece sentire che doveva alzare gli occhi in un altro modo a quel lume, che poteva illuminare lui secondo li miei bisogni, e non secondo la mia volontà. E così fo, ogni cosa reputando egualmente venir da Cristo, pigliando sommo piacere delle consolazioni quando Dio per suo mezzo le manda a me.... Quando non vengono, non quanto solevo mi doglio, ma mi umilio, o a dir meglio cerco di umiliarmi».
«Sto bene in questo silenzio (di Viterbo) e quanto più, per grazia di Dio, il gusto, più compassione ho alla signoria vostra reverendissima: ma il Signore con tanta pace le parli dentro, che non senta li strepiti di fuora, come la mia debilità li sentiva..... Considerando lo stato di vostra signoria reverendissima, non so se più compassione gli debbo avere o quando è con le turbe servendo Cristo nelli suoi fratelli, o quando è solo con Cristo, vedendo i fratelli di lui: massime che, essendo il corpo in fatica, e la mente desiderando la solitudine, mi fa chiaro il copioso fonte d'ogni grazia non gli lascia tanta sete senza dargli spesso qualche dolce poto, acciocchè o col desiderio o coll'effetto sostenga la sua cristianissima vita».
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