Ma poi so qui a Verona ad instantia del clarissimo dominio veneto, o avuto un breve da Sua Santità dove mi impone che ritorni a Venetia, e li stia infin tanto che altro non determina: tal che so impedito, e bisogna mi haviate non solo per excusato, ma compassione, e tanto più quanto el venire mi sarebe più contento ch'el restare. Pregarò bene el Signore che, essendo suo onore, faci che Sua Santità osservi la promessa, e quanto più presto potrò me ne verrò alla mia Siena. Pregando Dio che la conservi e prosperi nella sua gratia e pace.
Da Verona alli 20 maggio 154241.
Nel 1541 l'Ochino avea stampato alcune prediche, locchè crebbe ne' Veneziani il desiderio di riudirlo. E il papa vi assentì: pure essendogli già insinuato qualche dubbio, diede ordine di tenerlo d'occhio. In fatto predicando in Santi Apostoli, cominciò a spargere errori. Alcuni ne l'accusarono, e (non essendovi ancora il sant'Uffizio) il nunzio papale lo dimandò a chiarirsene, ed egli ebbe l'arte di spiegarli in buon senso e diceva: «È più difficile convincere uno d'eresia, che accusarlo d'oscura definizione di frasi teologiche». Esso nunzio l'anno prima avea fatto arrestare Giulio Terenziano teologo milanese, che predicava eresie: e a ciò parve alludere l'Ochino quando dal pulpito proruppe: «Che facciamo, o uomini veneti? Che macchiniamo? O città regina del mare, se coloro che t'annunziano il vero chiudi in carcere, mandi alle galere, come si farà luogo la verità? Oh potesse questa liberamente enunciarsi! quanti ciechi recupererebbero la vista!
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