Se ne invaghì e le meditava col Cusano e col poeta Flaminio, e più dopo che strinse relazione cogli amici del Valdes. Già intinto di questi principj, cominciò nel 1541 in San Pietro ad esporre l'epistola ai Corinti, con tal concorso, che, chi non v'andasse, era reputato mal cristiano. Un giorno prese per testo le parole della prima, delle quali soleano valersi i teologi per appoggiar la credenza al purgatorio: «Il dì del Signore farà conoscere le opere di ciascuno; il fuoco proverà qual sia l'opera di ciascuno; se l'opera di alcuno brucerà, egli ne soffrirà il danno: ma sarà salvato, però per mezzo al fuoco». Aspettavansi la solita parenesi sulle anime purganti, e invece provò che quelle parole doveano prendersi in senso emblematico, significando l'intera distruzione dell'errore, e ciò sostenne con grandi autorità. I preti, e massime i Teatini, lo denunziarono, onde il vicerè Toledo gli interdisse di più predicare: ma Pietro Martire, sorretto da' suoi frati e da persone ragguardevoli, ricusò obbedire, n'appellò al papa, ottenne di continuare come prima, e così sparse quel seme che poi germogliò.
Se non che, avanti compiere il suo triennio, gittaronsi pericolose febbri, delle quali il Cusano morì, e Pietro Martire fu costretto cangiar aria. Allora destinato visitatore generale del suo Ordine in Italia, ebbe modo di riparare molti abusi, all'uopo consigliandosi col cardinal Gonzaga, protettore di quella religione, e rimovendo i contumaci: uno de' più resistenti fu relegato in vita nell'isola Diomedea.
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