Ci arrivò infatto il 15 giugno 1555, e subì un nuovo assalto della tenerezza paterna; non chiedersegli nulla di contrario alla sua religione; tornasse all'Italia sua; obbedisse al padre in un punto che nulla ledeva la coscienza; riabitasse colla moglie, coi figliuoli, nel modo che conveniva al suo grado. Ma egli calcolò che avrebbe dovuto vivere sotto al papa, presso l'Inquisizione, e preferì le cipolle d'Egitto alla manna del deserto. Il padre deluso tornossene a Napoli per la via di Roma: e Galeazzo l'accompagnò quanto il salvocondotto gli permetteva, per tutto il dominio veneto. In quell'occasione visitò la duchessa di Ferrara: poi per la Valtellina si restituì a Ginevra, ove i suoi amici ringraziarono Dio del suo ritorno.
La moglie Vittoria non sapeva rassegnarsi al distacco, e con lettere e messaggi incessanti lo sollecitava al rimpatrio. Alfine gli chiese d'almeno vederlo: esibendosi incontrarlo in qualche porto veneto, non troppo distante dal Regno. E si fissò Lésina, sulla costa di Dalmazia, sol dalla larghezza del mare Adriatico disgiunta da Vico, feudo suo paterno. Galeazzo vi comparve puntuale ad aspettarla, ma essa mancò, e scusandosi con buone ragioni, gli mandò solo i due figliuoli Colantonio e Carlo. Fosse amore per la donna, o speranza di convertirla e trarla seco, Galeazzo risolse andarla a raggiungere. Erasi egli fatto cittadino di Coira, concessione difficilissima a chi non v'abitasse82; onde sicuro tragittossi a Vico, e vi trovò tutta la famiglia.
Quanta fu la prima esultanza del ritrovo, altrettanto il dispiacere di lui nel non riuscire a trascinar nelle sue opinioni la donna sua, fida alla religione avita, e risoluta di non abitare paese ove quella fosse proscritta, e per sempre separarsi da esso se persisteva nell'eresia.
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