I papi continuarono a tenere l'occhio sospettoso su quei semenzajo d'eresia, e Giulio III si prefisse d'estirparla coll'ajuto d'Enrico II di Francia, nipote della Renata. Questi vi mandò il dottore Oriz suo penitenziere e inquisitore in Francia: e Le Laboreur, nelle aggiunte al Castelnau, ci ha conservate le istruzioni dategli. Dovea mostrare l'immenso disgusto del re nel vederla precipitata nel labirinto di sciagurate opinioni, dalle quali se la sapesse ravveduta, n'avrebbe tanta allegrezza, quanta se la vedesse resuscitata da morte. Ove le rimostranze non bastassero, doveva obbligarla ad assistere con tutta la casa sua a sermoni di controversia; quando non ne profittasse, intimarle essere volontà del re che il duca la facesse riporre in luogo appartato, ove non potesse corrompere altri, staccata sin dalla famiglia, mentre si sottoporrebbero a processo e condanna quelli che fossero sospetti di false dottrine.
Così fu fatto, e il marito per alcun tempo tenne la Renata e ventiquattro de' suoi chiusi nel castello di Consandolo, distante un 30 chilometri da Ferrara: ma quivi e alla vicina Argenta essi diffusero le loro dottrine. Il duca alternava rigori e perdoni senza frutto, or mettendola nel palazzo di San Francesco, or nelle stanze della reggia che son rimpetto alla facciata del duomo, con sole due damigelle. Calvino mandava conforti alla Renata e messaggi per mezzo di Lyon Jamet, secretario di essa, e «Giacchè piacque al signor Iddio nell'infinita sua misericordia, visitarvi colla tema del suo nome, e illuminarvi nella verità del suo santo Vangelo, riconoscete la vocazione vostra; giacchè esso ci trasse dagli abissi delle tenebre ove eramo cattivi, affinchè seguiamo direttamente la luce sua senza declinare»93. Fu talvolta che egli la credette caduta, e a Farel scriveva: De ducissa Ferrariensi tristis nuncius et certior quam vellem: minis et probris victam cecidisse.
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