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      Però, cognoscendo io la cosa andar ogni giorno di male in peggio, e che non si udiva pur il dì del Natale la messa in casa di predetta mia consorte, ne mi parendo conveniente lassar che due mie figliole già grandi, una nelli xviii, l'altra nelli xvi anni, si elevassero in questa falsa religione, la qual, se si fosse impressa nello animo loro e accettata per buona, avesse a farle vivere per sempre eretiche e luterane, con lo esempio e persuasione della matre; il che, oltre l'offesa di Dio, potesse anche causarli difficultà nel maritarle in principi cristiani, e tanto più che il romor della eresia della madre è già sparso per tutta Italia con mio gran vituperio, mi risolsi di dir io stesso a madama predetta, con tutte le buone parole possibili, ch'io volevo assolutamente che mie figliole udissero ordinariamente la messa, si confessassero e si comunicassero a questa santa Pasca, e in somma vivessero per lo avvenire del modo ch'io facevo, e come ella stessa soleva far quando venne di Francia; pregandola istantissimamente
      a non opporsi a tal mio giusto e santo volere. Ella in conclusione mai volle aquetarsi, anzi mi disse a bocca chiara, che la messa è idolatria, con altre parole tanto indegne, ch'io non ardisco e mi vergogno ridirle; bastandole in oltre l'animo alla presenza mia di esortar mie figliole a non mi esser obedienti in questo, ma continuar nella vita incominciata, cercando persuaderle che la religione mia e di molti altri principi non era la vera; con tanto fervore e arroganza, che chi la avesse udita parlare, mi avria indicato assai più paziente di Job in soffrir solo per reverenza della Maestà Vostra tante parole, indegne da esser comportate da qualsivoglia marito.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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