Chi così parla è Lodovico Castelvetro, bello scrittore e critico arguto, nato pure a Modena, dove aveva imparato l'ebraico da David, giudeo modenese, «filosofo e teologo da non sprezzare»: il provenzale da Giammaria Barbieri, che in Francia avea studiato i trobadori, e volea dedur l'italiano dalla costoro favella. Il Gravina attribuisce al Castelvetro il titolo di «Varrone della lingua vulgare», e per avventura egli ci ha maggior merito che non il Bembo; mostrò conoscere altri idiomi, e non la filiazione ma la fratellanza del nostro col provenzale.
Più tardi egli pubblicò la Poetica d'Aristotele, con bastante erudizione, riflessi sottili, critica assennata e franchezza di appuntare anche là dove i commentatori non sanno che applaudire; osa criticare Virgilio; imputa a Dante la pedanteria di parole scientifiche, inintelligibili al popolo; all'Ariosto i plagi e l'infedeltà storica; e osò dire che in Ispagna e in Francia v'avea poeti grandi quanto in Italia. Libertà di giudizio che scandolezzava gli umanisti.
La presenza o il ricordo di tali personaggi doveva inanimare gli studj in Modena; e non una vera accademia, ma una brigata di letterati vi si era costituita, alla quale col Castelvetro appartenevano i già detti Giovanni, Francesco e Bartolomeo Grillenzoni, don Giovanni Beretta, Nicolò Machella medico, il dottore Filippo Valentini, Camillo Molza, Gabriele Faloppio, allora empirico, dappoi famoso anatomista; Pellegrino Degli Erri, Francesco Camurana, Lodovico del Monte ed altri.
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