Ciò ch'esce dall'ordinario lusinga facilmente i palati meno squisiti; inoltre i devoti di casa Farnese e i molti amici del Caro non rifinivano di esaltare quel carme; ma altrimenti ne parve al Castelvetro, che ne scrisse una censura, e lasciolla circolare. Il Caro se ne tenne adontato viepiù, quanto meno avvezzo; e parte egli stesso, parte gli amici, parte egli sotto il nome di amici, gli fece risposte, che ne provocarono altre, e tutto il regno delle lettere n'andò in fiamma. Il duca di Ferrara, cardinali, persone di gran conto, dame gentili s'interposero di pace, ma invano; uno all'altro i due emuli apponevano misfatti della peggior sorte, fin d'assassinj; e viepiù facilmente si corse all'accusa, allora ovvia, d'eresia. Che Annibal Caro denunziasse il Castelvetro al Sant'Uffizio, non n'era gran bisogno dopo i precedenti narrati; certo esso Caro prorompeva: «Credo che all'ultimo sarò sforzato a finirla per ogni altra via, e vengane ciò che vuole»; e per iscritto tacciò l'emulo suo di «filosofastro, empio, nemico di Dio, che non crede di là dalla morte»; e conchiudeva: «Agli inquisitori, al bargello e al grandissimo diavolo vi raccomando»166.
Fatto sta che, verso il 1555, quando lo zelo del cardinal Ghislieri rendeva severissima l'Inquisizione, si cominciò a indagare sul Castelvetro e sui Valentini, ma da parte di Roma, senza che nulla ne sapessero il Foscarari, allora vescovo di Modena, nè l'inquisitore locale: e al 1 ottobre Paolo IV scriveva al duca di Ferrara: Testimoniis multorum, qui dignissimi sunt ut omnis eis fides adhibeatur, nobis certius in dies affirmatur esse aliquot Mutinæ, qui hæreticis opinionibus ac pravitate adeo jam infecti sunt, ut, nisi præsentia remedia adhibeantur, maxime timendum sit ne brevi totam corrumpant civitatem.
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