Ma tutto era minato, senza che se n'accorgessero i monaci che custodivano. Entrato, esamina il quartiere dove stavano monaci ed eremiti, de' quali storpia beffardamente i nomi, poi le monache, poi i confessori, e i gran dottori che faticavano a trasportar dal Vecchio e dal Nuovo Testamento ciò che s'affaceva alla Chiesa loro, le decime, le mitre, gl'incensi, i sacrifizj de' leviti, lasciando via le mogli col dir che la nuova legge permette solo le concubine e peggio. Invece di evangelisti, scorge una folla di dottori e redattori di decretali e bolle sull'infallibilità del papa.
Quand'ebbe veduto questo ed altro, pregò il vecchio di ricondurlo quaggiù; e credette inutile veder l'inferno, dacchè avea veduto il cielo dei papi.
È principalmente all'occasione del conclave che la lingua di Pasquino taglia e fende, valendosene amici e nemici a sostenere od abbattere i varj candidati. Quelle satire riferendosi a fatti e persone specialissime, han poco interesse dopo passatane l'occasione. La più antica che si conservi, credo sia quella dopo la morte di Clemente VII nel 1534.
Dialogo fra Pasquino e san Pietro imprigionato in Castel Sant'Angelo.
Pasquino. Or che par vero che Clemente è morto,
Sali fuora, buon Pietro, di prigione,
E va gridando al cielo e alle personeTutto il mal che t'ha fatto, e quanto torto.
Non star serrato più: prendi conforto,
Ch'ora per tutto si farà ragione,
E tal che infino a qui fatto ha il barone,
In sulle forche si vedrà di corto.
E via dice i più villani improperj contro Clemente «che ha spogliato la Chiesa e 'l mondo e Cristo», e conchiude:
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