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      Quest'inaspettata fine fu un solenne avvertimento al fratello Carlo, al quale, di appena ventitrè anni, lo zio papa aveva conferito l'arcivescovado di Milano e ben tosto la porpora, sebben non ancora negli ordini (1560). Quanti in lui s'accumularono benefizj e cariche! egli legato a latere di Bologna e Ravenna, poi d'Italia tutta: egli abbate e commendatore di almen dodici chiese in varj Stati, arciprete di Santa Maria Maggiore, penitenziere supremo della santa Chiesa, protettore del regno di Portogallo, dei Cantoni svizzeri cattolici, della bassa Germania, de' Francescani e Umiliati, dei canonici regolari di Santa Croce a Coimbra, e de' cavalieri di Malta e del Cristo; sinchè, unendovi il contado d'Arona sul lago Maggiore, e il principato d'Oria nel napoletano, fruiva dell'entrata di almeno novantamila zecchini. Avendo cognata una duchessa d'Urbino; maritata una sorella nei Gonzaga principi di Molfetta, una nel principe di Venosa, una nel principe Colonna vicerè di Sicilia, scialava principescamente, quando la morte del fratello Federico lo concentrò ne' gravi pensieri della tomba, e d'allora il nome di Carlo Borromeo indicò uno de' prelati che più onorarono la Chiesa, e maggiormente faticarono nel riformarla. Rinunziato a quel cumulo di cariche, onde mortificare col suo esempio la splendida dissolutezza dei principi secolari ed ecclesiastici di Roma congedò ottanta persone di corteggio, non ritenendo secolari presso di sè che nei bassi uffizj; da novantamila restrinse a ventimila zecchini la sua spesa domestica; agli sfarzosi spassi, ai clamorosi convegni consueti nel suo palazzo sostituì un'accademia settimanale di lettere e morale, detta le Notti Vaticane; eccitò il papa a fabbricare Santa Maria degli Angeli e la superba Certosa di Roma; molte chiese procurò s'edificassero per tutta Italia e l'Università di Bologna.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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