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      Il papa lo pose vescovo di Bitonto e lo volle alla Corte, affinchè in latino predicasse ogni giorno sul Vangelo in camera o alla tavola sua; trattenimento già ben diverso da quelli del tempo di Leon X, e dove, finito il sermone, si cominciavano le objezioni, che l'oratore combatteva, il quale disputò spesso con un chierico, che poi divenne Pio IV, e che l'adoprò all'istesso uffizio.
      Somma lode gli si attribuiva per avere sbandite dal pulpito le sottigliezze scolastiche, le declamazioni ridicole, le ostentate citazioni d'autori profani, onde far luogo a un predicare sodo, devoto, conforme al Vangelo. Girolamo Imperiali lo chiama l'Isocrate italiano, e non mancargli nè la robustezza di Demostene, nè l'ubertà di Cicerone, nè la venustà di Curzio, nè la maestà di Livio; a lui si dedicarono opere; a lui monsignor Della Casa un'ode sull'eloquenza: Bernardino Tomitano, medico e retore dell'Università di Padova, compose un ragionamento intorno all'eloquenza di esso e gli fece coniar una medaglia portante un cigno e la leggenda Divinum sibi canit et orbi: ai cardinali Contarini e Bembo «pareva nè filosofo, nè oratore, ma angelo che persuadesse il mondo».
      Questo «Crisostomo italiano» fu scelto a far l'orazione inaugurale del Concilio; la quale riuscì «piena di sottile artifizio, sparsa di retorici colori, come se tempestata fosse di rubini e diamanti; vi avea consumati dentro tutti i preziosi unguenti di Aristotele, d'Ippocrate, di Cicerone, e tutti i savj precetti di Ermogene». Quest'encomio di un gazzettiero di quei tempi, Ortensio Lando, la condannerebbe abbastanza s'anche non avessimo l'orazione stessa, forse troppo malmenata dagli avversarj, certamente lontana dalla dignità conveniente all'assemblea più augusta che da molti secoli si fosse radunata.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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