Molto egli si valse di Carlo Bescapè barnabita milanese, che poi vescovo di Novara vi fondò il seminario, e scrisse opere di diritto ecclesiastico e la vita di esso san Carlo. Col quale e come lui operò il beato Paolo d'Arezzo teatino, a correggere la depravatissima sua diocesi di Piacenza, poi quella di Napoli; dove ancora servono di modello per le visite diocesane le istruzioni dell'arcivescovo Annibale da Capua.
Giovan Francesco Bonomo, patrizio cremonese, nel suo vescovado di Vercelli sostituì l'uffizio romano all'eusebiano, fabbricò il seminario affidandolo ai Barnabiti, istituì un Monte di pietà colla propria sostanza; tra gli Svizzeri e i Grigioni a tutela della fede mise in pericolo anche la vita, e introdusse i Gesuiti a Friburgo, i Cappuccini ad Altorf; poi andò nunzio apostolico all'imperatore, indi nelle Fiandre, sempre zelando la causa cattolica. Delegato da Gregorio XIII a visitare la diocesi di Como, vi stampava delle prescrizioni282, dove, fra evangeliche maniere ed elevati intenti, appajono esagerazioni, che viepiù risaltano or che è cessata la prevalenza ecclesiastica. I vescovi non abbiano cortine e tappeti a fiori, non lauta mensa, non elegante suppellettile, non vasellame d'argento, col quale potrebbero mantenere dei poveri; lor precipuo uffizio è il predicare, nè possono mancarvi senza potente motivo. Nel triduo avanti Pasqua il vescovo sieda in confessionale per ascoltare chi si presenti: ogni due anni compia la visita diocesana, non ricevendo a tavola che tre piatti, oltre cacio e frutta; dia facile udienza a tutti, anzi v'incoraggi i poveri; veda e spedisca da sè quanto può. Ogni maestro faccia in man di lui la professione di fede283; le feste si osservino coll'astenersi da opere servili e dagli stravizzi.
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