In quel regno l'Inquisizione si continuò ad esercitare per via ordinaria, cioè dal vicario del vescovo, assistito dal braccio secolare: ma qualora l'Inquisizione di Roma avesse ottenuto il beneplacito regio, istruiva processi anche contro regnicoli. Tal fu quello contro il già detto Caracciolo marchese di Vico, tale uno contro due vecchie catalane, che non volendo abjurare il giudaismo, furono consegnate al tribunale di Roma che le condannò a morte. Nel 1583 il cardinale Savelli in nome del papa domandava, per cose toccanti il Sant'Uffizio, fosse inviato a Roma Giambattista Spinelli principe della Scalea, e il vicerè ordinava fosse arrestato e tradotto, se non desse malleveria di venticinquemila scudi di presentarsi al Sant'Uffizio. Altrettanto nel 1585 con Francesco Conte capitano dell'isola di Capri; e l'anno seguente con Francesco Amoroso capitano di Pietra Molara.
Col procedere del tempo, il Sant'Uffizio prese ardimento maggiore nel regno, e piantava processi senza il beneplacito regio. Vietollo Filippo III: pure non valse a impedire che, per mezzo dei vescovi, si procedesse talvolta direttamente, come fu nel 1614 in una famosa causa contro suor Giulia di Marco da Sepino, terziaria di San Francesco, che col misticismo copriva strane oscenità; favorita da gran signori e da Gesuiti.
Regnando Carlo II, erasi istituita a Napoli un'accademia degli Investigatori, preseduta dal marchese d'Arena, la quale proponeasi di ravviar la buona filosofia. Diede ombra, e se ne tolse occasione di ridestare il Sant'Uffizio; e sotto monsignor Gilberto vescovo della Cava si eresse un tribunale in San Domenico, e iniziaronsi processi, costringendo alcuni ad abjurare certe loro proposizioni.
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