Verso il 1568 molte lettere, nella corrispondenza del Bullinger, raccontano dell'Inquisizione atrocità, quali la voce pubblica le esagera. A Mantova essersi arrestato un parente del duca, e poichè questo ne sollecitava la liberazione, avergli l'inquisitore risposto che non riconosceva alcun duca nel suo uffizio: bensì mostravagli le chiavi del carcere; se voleva, nel togliesse per forza: egli nol rilascerebbe mai. A Roma (dicono) non va giorno che non si bruci, si soffochi, si decolli; piene tutte le prigioni, e se ne devono fabbricare di nuove sempre. Dopo bruciato il Carnesecchi, arrestaronsi il barone Bernardo di Angola e il conte di Pitigliano, che sollecitati a lungo, alfine abjurarono, e il primo fu condannato a carcere perpetuo, e alla multa di ottomila coronati; l'altro a mille, e chiuso per sempre in una casa di Gesuiti. Che a Valenza un nobile, denunziato per opinioni religiose, e dopo lunga detenzione messo alla tortura, spirò fra i tormenti; del che indignati, i cittadini insorsero, assalirono i preti, qual trucidando, quale cacciando. Che a Milano un nobil giovane, accusato di luterano e condannato alla forca, ebbe sentenza d'esservi tratto a coda di cavallo; mezzo strangolato, perseverando a non ricredersi, fu arso a lento fuoco, poi esposto ad essere sbranato dai cani365.
Al 24 febbrajo 1585 il residente veneto a Roma informava d'una pubblicazione di diciasette inquisiti dal Sant'Uffizio, presenti molti cardinali e grandissimo numero di persone. Degli inquisiti tre furono mandati al fuoco come relapsi in manifeste eresie: altri come fattucchieri e stregoni, che abusavano de' sacramenti per loro scellerità, furono sentenziati alla pubblica esposizione, altre al carcere e altre pene.
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