Fra i condannati «alla morte di vivo fuoco» contava Jacobo Paleologo di Chio, già domenicano, che errò lungamente per Germania; in Transilvania fu rettore del ginnasio di Clausenburg, e adottò gli errori di Buduy, unitario talmente eccessivo, che Fausto Soccino medesimo lo riprovò. Arrestato per richiesta di Gregorio XIII, fu il Paleologo menato a Roma, come fu vicino al patibolo domandò tempo per riconciliarsi e venne ricondotto in prigione, ove si crede sarà fatto morire senza il fuoco vivo. Degli altri due, uno fu strozzato, come relapso ma pentito; l'altro «come pertinace morì nel fuoco a poco a poco, con una continua fermezza alla presenzia di gran parte di questa città».
Udimmo la Olimpia Morata deplorare la morte di Fannio. Nato a Faenza da oscuri parenti, cominciò egli a studiare la Scrittura seriamente sopra una traduzione, e ostentando i benefizj della parola di Dio, ne disputava in tal guisa, che fu preso prigione dal Sant'Uffizio. Quivi intenerito da colloquj colla moglie e la famiglia, ritrattossi e fu messo in libertà. Ma ben tosto ne sentì tal rimorso, che risolse di farne amenda col professare apertamente le nuove dottrine, e mosse per la Romagna predicando senza velo; se gli fosse impedito di annunziare in pubblico il Vangelo, sì lo faceva in secreti colloqui con chi volesse ascoltarlo, beato quando potesse alcun convertire. Arrestato a Bagnacavallo, fu condannato alle fiamme. Se non che mandato a Ferrara, ebbe occasione di convertire altri, meno tormentato che non sotto i Domenicani, talora veniva trattato meglio, talora peggio; quando solo, quando in compagnia; pur sempre costante a soffrire per Cristo.
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